In occasione del Salone del Gusto – edizione 2018, il Settore Territorio e paesaggio della Regione Piemonte ha partecipato al workshop articolato intorno ai temi del rapporto tra il paesaggio e l’agricoltura di qualità e dell’architettura degli insediamenti produttivi agricoli.
Si è scelto di inquadrare questi aspetti all’interno del lavoro svolto da Regione Piemonte, in primis con l’approvazione del Piano paesaggistico regionale, a fine 2017: un traguardo importante, che ha visto impegnati nel lungo lavoro di indagine e di pianificazione tanti attori istituzionali e gruppi di ricerca universitari. Una ricerca che ha permesso di individuare gli aspetti identitari più rappresentativi della nostra regione, in cui convivono forti differenze, anche linguistiche, tra un’area e l’altra, che hanno origine nelle diverse storie locali e nelle influenze di altri Stati o regioni confinanti, quali, per esempio, la Savoia francese, la Lombardia, la Liguria; analogamente composita è la trama insediativa storica che ha segnato indelebilmente le diverse aree storico-culturali, ciascuna con le proprie distinte peculiarità, forme e centri di interesse politico, amministrativo e militare. Di fronte a una simile complessità, il piano paesaggistico rappresenta il contenitore più importante dedicato alla tutela del paesaggio nei suoi aspetti naturalistici, ambientali, storici, identitari. Anche il turismo enogastronomico, una delle più importanti voci dell’economia regionale – il Piemonte è secondo solo alla Toscana, secondo un’indagine Enit 2018 –, è da sempre interessato a cogliere gli aspetti più rappresentativi e unici del paesaggio rurale e delle tipicità agroalimentari, fonte di attrazione per migliaia di visitatori ogni anno.
In questo filone si inserisce il Portale Agriqualità della Regione Piemonte, strumento innovativo dedicato alla conoscenza e promozione delle tipicità enogastronomiche regionali, poste in relazione diretta con gli ambiti di paesaggio in cui sono inserite.
È così possibile seguire un percorso che si snoda attraverso i quindici macro ambiti paesaggistici in cui è stato articolato il territorio regionale e scoprire i sapori e le immagini originati dalle tipicità agroalimentari presenti, magari seguendo uno degli specifici itinerari suggeriti per facilitare la conoscenza dei luoghi. Non è l’unico approccio del genere: da tempo sono stati proposti altri “itinerari del gusto” – per esempio le strade del vino – e stagionalmente vengono organizzate sagre e manifestazioni incentrate sul cibo e sul vino per promuovere le produzioni locali.Il motore di tutte queste iniziative resta il paesaggio rurale che, secondo l’intramontabile definizione data da Emilio Sereni nel 1961, rappresenta “quella forma che l’uomo, nel corso ed ai fini delle sue attività agricole, coscientemente e sistematicamente imprime al paesaggio naturale”.
Il paesaggio rurale italiano, frutto di alcuni millenni di storia, è da sempre riconosciuto come uno degli elementi fondamentali dell’identità culturale del nostro Paese. È anche una risorsa fondamentale, capace di determinare valore aggiunto per le produzioni con denominazione di origine, elemento chiave per lo sviluppo turistico e per la biodiversità legata agli spazi coltivati e alle specie introdotte dall’uomo e aspetto caratterizzante per la qualità della vita nelle aree rurali. Nei primi anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso il paesaggio rurale italiano presentava aspetti estetici così pregnanti da appagare il senso del bello e garantire, nello stesso tempo, un alto livello di qualità dei cibi: siepi, campi seminati e pascoli, vigne e alberi da frutto, alberate con le viti ‘maritate’ e alteni davano origine a forme geometriche immortalate, per esempio, dagli scatti su pellicola in bianco e nero del grande fotografo Mario Giacomelli.
Ma quanto rimane paesaggio rurale originario in Piemonte? E quali prodotti testimoniano oggi la permanenza di simili forme di coltivazione? Non sempre le tecniche colturali hanno rispettato i connotati del paesaggio rurale tradizionale: al contrario, la meccanizzazione e il mercato hanno imposto le loro regole, che in pochi decenni hanno radicalmente modificato uno scenario che era rimasto quasi inalterato per secoli. In pianura e sui primi rilievi collinari questi fenomeni hanno comportato l’intensivazione dell’agricoltura, con la scomparsa degli elementi che caratterizzavano i luoghi e delle tecniche costruttive tradizionali, con cui venivano realizzati i terrazzamenti, i muretti a secco, gli edifici rurali e le canalizzazioni irrigue. Anche l’abbandono dell’attività agricola ha portato cambiamenti radicali, con l’aumento del bosco, che negli ultimi cinquant’anni ha coperto pascoli, colture e terrazzamenti.
Si potrebbero citare molti esempi di paesaggi rurali tradizionali. Ancora qualche decennio fa, tra Ghemme e Carpignano Sesia, erano diffuse le piantate di fruttiferi (amarene, noci) che, insieme ai salici, delimitavano minuscoli appezzamenti, testimoni di un’economia agraria basata sulla tecnica dell’alteno, ossia la coltivazione della vite (per lo più abbarbicata ad alberi quali olmo, acero campestre, salice) coniugata con quella dei cereali e delle leguminose, talvolta anche con la canapa. Un modello agrario quasi scomparso: dopo la costruzione dell’autostrada A26, che ha reciso l’ambito, si è ulteriormente accentuato l’abbandono di tali pratiche. Sopravvivono alcuni lacerti ai lati dell’autostrada, veri reperti di un paesaggio ormai scomparso in tutta la pianura piemontese.
Nelle parti montane, oltre al paesaggio dell’abbandono, sempre più esteso, vi sono luoghi dell’eccellenza casearia come i pascoli posti nella conca di Riale, quattro o cinque alpeggi posti oltre 2200 metri, lungo la via storica del Gries, ove si produce il Bettelmatt. Qui, nell’alta Ossola, il paesaggio rurale è caratterizzato dalla presenza di alpeggi e pascoli funzionali al mantenimento dell'attività zootecnica e alla conservazione delle pratiche alpicolturali. I prati da sfalcio sono abbastanza estesi e localizzati nei tratti di fondovalle e in parte anche sulle pendici. L'allevamento bovino per la produzione di formaggio è nettamente prevalente su quello ovicaprino. Esistono due tipologie di formaggi d'alpe: quelli prodotti con latte intero (due trasformazioni giornaliere) – denominati "Toma", "Formaggio d'alpe", "Bettelmat" – e quelli prodotti con latte parzialmente scremato (una trasformazione al giorno, col latte del mattino e della sera), comunemente denominati "Nostrano".
Anche nelle zone di fondovalle permangono brani di paesaggio rurale storico abbinato a produzioni di eccellenza, questa volta enologiche. C’è l’esempio, meno noto, del vitigno “Prunent” sulle alture di Domodossola, e del più famoso Carema: qui fortissima è la presenza dei terrazzamenti in pietra a secco con coltivazioni ad alteno della vite, con caratteristici sostegni in forma tronco-conica. Il paesaggio è interessato da una specifica dichiarazione di interesse pubblico L’area tutelata conserva una buona leggibilità delle caratteristiche distintive formate dal paesaggio terrazzato a vigneto sul versante montano esposto a sud-ovest, e la presenza dei tipici sostegni in pietra di forma cilindrica per il sostegno delle pergole in legno, denominati «topiun», che conferiscono unicità alla trama del paesaggio rurale che circonda il borgo di Carema. La borgata, costituita in prevalenza da edifici costruiti in pietra e calce, forma un tutt’uno con i muretti in pietra a secco che lo circondano. Il paese è candidato all’inserimento nel Registro Nazionale dei paesaggi rurali storici.
Infine la Baraggia biellese e vercellese: paesaggio anch’esso tutelato da specifica dichiarazione di notevole interesse pubblico per la particolarità dei suoi paesaggi, costituiti da macchie boscate a formazione del querco-carpineto, resti dei fitti boschi che un tempo ricoprivano i terrazzi argillosi ai margini della pianura padana. La presenza dei paleosuoli formatasi durante i periodi interglaciali ha permeato il paesaggio baraggivo. Le catene montane chiudono l’ambito verso nord, con ampie visuali verso il Monte Rosa e le alpi biellesi. Nel secolo scorso sono state aperte numerose camere per la coltivazione del riso, fenomeno che ha eroso in parte le originarie baragge ma, nel contempo, ha permesso di arricchire il paesaggio con una serie di canalizzazioni irrigue, cascine e una avifauna particolare. La Baraggia vercellese e biellese è iscritta nel Catalogo nazionale dei paesaggi rurali storici.
“Uno dei problemi per lo sviluppo di iniziative efficaci in difesa del paesaggio è legato a un ancora insufficiente chiarimento del suo contributo allo sviluppo economico – spiega Andrea Sisti, presidente del CONAF. A fronte di indagini che hanno indicato la prevalenza dei valori paesaggistici nel valore di mercato di alcuni prodotti tipici, non è ancora stato messo in chiaro il suo ruolo nel settore dei servizi e l’indotto da esso generato. È quindi necessario chiudere il cerchio prodotti tipici-paesaggio tipico, sviluppando sistemi di certificazione specifici, aumentando notevolmente il potenziale delle produzioni tipiche e dei servizi del paesaggio”.
Per garantire la difesa del binomio prodotto tipico-paesaggio tipico, può essere utile abbinare al prodotto un “iconema” – cioè un elemento della percezione paesaggistica facilmente riconoscibile e chiave dell’identità locale – che diviene così un elemento fondamentale del marketing anche turistico di quella zona. Un contributo fondamentale nella scelta di questi iconemi sono le rappresentazioni pittoriche dei principali vedutisti europei dei secoli XVII–XIX, che spesso accompagnavano i viaggiatori del “grand tour”. Cogliere le differenze insite nel paesaggio e negli edifici, innanzitutto nelle tipologie costruttive rurali, per comprendere lo spirito dei luoghi e la loro struttura, è un passo fondamentale per poter conservare le identità paesaggistiche. La Regione Piemonte ha attivato ormai da alcuni anni iniziative volte a diffondere tali conoscenze, con la pubblicazione di numerose guide e manuali rivolte alla pianificazione locale.
Bellezza, stabilità del paesaggio, biodiversità visibile e invisibile, identità, non devono essere separabili dalla qualità degli alimenti che ne derivano, sia che si tratti di cereali, ortaggi, frutta, sia di foraggi e pascoli che determinano la qualità di carne, latte e formaggi. In un ecosistema degradato non si possono infatti produrre alimenti con un alto valore aggiunto in termini di qualità.
Alfredo Visentini