Quest'estate ricorre un anniversario importante: compie cent'anni la legge 778 dell'11 giugno 1922 Per la tutela delle bellezze naturali e degli immobili di particolare interesse storico, una tappa fondamentale sulla via della protezione del paesaggio.
Il paesaggio italiano è la rappresentazione visibile della storia della Nazione: esso è spesso definito come palinsesto – letteralmente, un manoscritto in cui la scrittura primitiva sia stata raschiata e sostituita con un'altra – perché reca su di sé la sovrapposizione delle epoche storiche, con le loro componenti sociali, culturali, politiche ed economiche.
Per lungo tempo, l'uomo ha trasformato il territorio sulla base dei suoi bisogni, operando in modo che oggi consideriamo sostanzialmente equilibrato, generando una molteplicità di paesaggi prevalentemente rurali, come rurale era la vocazione storica dei luoghi: questo percorso è magistralmente descritto nel volume di Emilio Sereni Storia del paesaggio agrario italiano (1961).
Lo snodo storico fondamentale a partire dal quale questo spontaneo equilibrio tra azione antropica e territorio si incrina è la Rivoluzione industriale, con i cambiamenti che induce anche in termini di occupazione dello spazio. L'Italia, con almeno cinquant'anni di ritardo rispetto ad altri Paesi europei, dovette fronteggiare nuove esigenze, ospitare nelle aree urbane prossime ai centri manifatturieri e industriali un'inedita quantità di popolazione; al contempo, l'agricoltura si specializzò come attività produttiva a tutti gli effetti, spinta dall'impiego della chimica.
In altri termini, il nostro Paese correva a grandi falcate verso la creazione dei paesaggi che conosciamo oggi, a tratti bellissimi, a tratti progressivamente degradati.
Come sempre, ci si accorge dell'importanza di qualcosa quando si rischia di perderlo: ancora oggi ci si indigna se un "nostro" paesaggio è minacciato da un concreto rischio di compromissione, mentre lo si dà per scontato se mantiene più o meno lo stesso aspetto.
In questo contesto, reso ancora più difficile dal succedersi di pagine buie che hanno caratterizzato l'inizio del "secolo breve", qualcuno si accorse che il paesaggio poteva trasformarsi in un oggetto fragile e doveva essere protetto, non solo per il suo valore intrinseco, ma persino perché, già allora, la sua tutela poteva rappresentare un fattore positivo per lo sviluppo economico.
Fu Benedetto Croce, Ministro dell'Istruzione pubblica nel 1920-21, la più nota ed eminente personalità a interpretare questo nuovo sentire: la legge 778, di cui festeggiamo i primi cent'anni, porta la sua firma.
Nella relazione allegata alla legge, che impiegò due anni per essere approvata, Croce definì il paesaggio in questi termini: «quel che costituisce la fisionomia, la caratteristica, la singolarità, per cui una nazione si differenzia dall'altra, nell'aspetto delle sue città, nelle linee del suo suolo, nelle sue singolarità geologiche».
Croce non era certo inconsapevole che la tutela del paesaggio avrebbe incontrato degli ostacoli, come dimostra il suo travagliato iter legislativo, soprattutto da parte dei fautori del libero godimento della proprietà come diritto assoluto. Perciò, nella sua presentazione della legge, in occasione della pubblicazione in Gazzetta, formulava l'auspicio che, «senza gravi sacrifici di ciò che è in cima ai pensieri di tutti, economia nazionale e conservazione del privilegio di bellezza che vanta l'Italia, siano composti con spirito di conciliazione i vari interessi contrastati».
Stiamo riuscendo nella composizione degli interessi in gioco? Ce n'è uno che deve prevalere sull'altro, per il benessere della collettività? Sono domande tuttora aperte, persino più impellenti di cent'anni fa.
Per aiutare a formarsi un'opinione, può essere utile ripercorrere le principali tappe della storia della tutela del paesaggio: se la questione vi interessa, proseguite qui.
Questo centenario merita tuttavia una celebrazione più ampia: stiamo organizzando un convegno per l'autunno, non perdiamoci di vista!
Paola Gastaldi