All’azione legislativa di Giuseppe Galasso si deve la gran parte dei provvedimenti di tutela paesaggistica che interessano il Piemonte, nonché la recente approvazione del Piano paesaggistico regionale.
In occasione della sua scomparsa, abbiamo chiesto un suo ricordo al prof. Bruno Ciliento, docente di Beni culturali e ambientali all’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino, che ce ne restituisce un’immagine a tuttotondo, dalla quale chiaramente emergono tratti biografici e caratteriali niente affatto estranei alla sua visione paesaggistica.
Non è facile scrivere di Giuseppe Galasso, scomparso quasi novantenne nella sua casa di Pozzuoli il 12 febbraio scorso, specie se chi si accinge brevemente a farlo non è uno storico di vaglia né può vantare una conoscenza sia pure indiretta con lo studioso. Una sola volta mi era capitato di sentirlo parlare – a Genova, negli anni '80, mentre più forte infuriava la polemica sul decreto che portava il suo nome. Con lui era un altro politico, l'assessore all'Urbanistica della Liguria Ugo Signorini, a cui l'avere sposato la linea di Galasso non procurava eccessive simpatie anche nel suo stesso partito. È stato scritto in questi giorni che Giuseppe Galasso cercava sempre, nella sua vita di intellettuale e polemista, di comprendere le ragioni degli altri. Infatti, in quella occasione, ebbe a tessere un molto napoletano, divertito "elogio" dell'intelligenza (o meglio, dall'astuzia criminale) dei costruttori abusivi che imperversavano a Ischia.
Ora che Galasso non è più di questo mondo, le commemorazioni non mancano, più o meno sincere. Si ricordano la sua vasta opera di storico, le sue origini umili che non gli impedirono di crescere fino a raggiungere altissimi vertici culturali, il suo sapiente unire la ricerca con l'impegno politico e la passione filosofica in una prospettiva che – per sua stessa esplicita ammissione – lo legava alla grande tradizione crociana. Meno si è detto, salvo che da alcuni, della sua azione per la salvaguardia del paesaggio e del territorio italiano, inteso come valore estetico, ambientale e culturale. Quando nel 1983 ebbe in sorte di essere scelto come sottosegretario ai Beni Culturali – in un decennio in cui questo ministero fu appannaggio anche di mediocrissime figure – si sarebbe potuto pensare alla nomina di una figura politicamente di secondo piano, seppure di indubbia dignità intellettuale. Altri avrebbero vissuto l'incarico con quieto impegno o come trampolino per più importanti traguardi. Ma solo una personalità che sapeva unire un sincero senso del bene comune con cui una acuta sensibilità e con la profonda conoscenza della storia avrebbe potuto trovare la forza – politica nel senso più alto del termine – di riprendere in mano la problematica della tutela del paesaggio. Tema sentito anche acutamente in taluni ambienti, ma visto di fatto come secondario in molti altri. Regolata dalle norme di una legge ormai obsoleta – la 1497, il cui incipit recitava "VITTORIO EMANUELE III PER GRAZIA DI DIO E PER VOLONTA' DELLA NAZIONE RE D'ITALIA E DI ALBANIA IMPERATORE D'ETIOPIA - Il Senato e la Camera dei Fasci e delle Corporazioni, a mezzo delle loro Commissioni legislative, hanno approvato: Noi abbiamo sanzionato e promulghiamo quanto segue" – la tutela del paesaggio, già affidata alla faticosa gestione delle soprintendenze, era da alcuni anni passata fra le competenze delle Regioni, che nella maggior parte dei casi (anche in quelli positivi) la consideravano un relitto del passato, superato dalla programmazione urbanistica. Il colpo d'ala di Galasso, che per rapidità e capacità politica sorprese molti, fu di riprendere i vecchi concetti estetico-panoramici che avevano informato la 1497 per introdurli in un insieme organico, che vedeva nelle emergenze fondamentali del territorio non solo le linee basilari dell'ambiente ma il contesto in cui da millenni veniva svolgendosi la vita culturale della penisola: per questo, insieme alle coste e alle montagne, ai boschi e ai fiumi andavano protette – per mezzo di una programmazione che non fosse solo quantitativa, ma anche qualitativa – le aree delle memoria storica e agricola, come le zone archeologiche e quelle soggette a usi civici.
Non è questa la sede né ci si può dilungare sul descrivere le scelte tecniche su cui si basava il decreto Galasso, e neppure possiamo sottolineare quanto fu da quel momento fatto e quanto è rimasto (anche in modo assai grave) carente. Senza dubbio Giuseppe Galasso ebbe a seguire negli anni l'altalenante gestione delle norme da lui promosse, tra cedimenti e incertezze, condoni e riprese di attenzione. Le sue parole, nelle ultime interviste, ormai memoria di un uomo sempre vivace sul piano intellettuale ma isolato di fatto su quello politico, lasciano trasparire soprattutto amarezza. Il recupero dei piani paesaggistici nel solco delle "norme Galasso" è negli ultimi anni stato operato solo da quattro Regioni – e il fatto che il Piemonte sia fra queste è motivo senza dubbio di apprezzamento, insieme all'amarezza per le tante occasioni perdute, in un Paese dove la legge urbanistica nazionale data al 1942 e non ne esiste una sul consumo di suolo. A Giuseppe Galasso, in conclusione, forse possiamo accostare – anche per affinità geografica – alcune frasi di un testo di secoli fa, gli Eroici Furori di Giordano Bruno, secondo cui Il filosofo crede in un «ordine delle cose» che distingue gli ignobili dai nobili, poiché senza tale ordine si rischia di cadere nella rovina di «certe deserte ed inculte repubbliche». Occorre essere «megliori, in fatto, che uomini ordinari», per giungere a un punto in cui il saggio «niente teme, e per amor della divinitade spreggia gli altri piaceri, e non fa pensiero alcuno della vita».
Bruno Ciliento