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Il suolo sopra tutto: a colloquio con Paolo Pileri

La lettura del volume “Il suolo sopra tutto”, scritto a quattro mani da Matilde Casa e Paolo Pileri, ha suscitato ampio dibattito in redazione, anche perché si colloca nella delicata fase immediatamente precedente all’approvazione del Piano paesaggistico regionale che, tra le proprie strategie principali, contiene molteplici misure volte a minimizzare il consumo di suolo.

Il libro ci ha raccontato come, al di là dei proclami pressoché unanimi secondo cui il suolo è una risorsa unica e irriproducibile ed è indispensabile salvaguardarlo, chi, come Matilde Casa, lo fa concretamente, iniziando dal proprio Comune, rischia di incorrere in gravi conseguenze anziché ricevere il plauso e la solidarietà che ci si aspetterebbe.

Per fare un po’ d’ordine in questa “retorica del suolo”, provando a scindere tra le buone intenzioni solo apparenti e le reali possibilità di tutela, abbiamo fatto qualche domanda in più a Paolo Pileri, professore ordinario di pianificazione e progettazione urbanistica al Politecnico di Milano. Non possiamo certo dire che non ci abbia risposto con grande chiarezza.

Professor Pileri, qual è il rapporto tra suolo e paesaggio? Spesso sembra che le misure di tutela del suolo e del paesaggio si concilino a fatica: è possibile un’integrazione?

Potremmo parlare ore e ore e scrivere pagine e pagine sulla relazione tra suolo e paesaggio: il paesaggio 'poggia' sul suolo, prende forza dal suolo, è modellato dal suolo che nel tempo si è depositato a valle ed è scivolato da monte, e, attraverso la potenza della fertilità e la saggezza dell'agricoltura (o, oggi, la scaltrezza in alcuni casi), ha dato immagine ai tanti paesaggi agrari del nostro Paese (nel bene o nel male, soprattutto più recentemente).
Paesaggio e suolo sono già spontaneamente integrati tra loro. Siamo noi a non saperlo o a non averne sufficiente consapevolezza. E questo suggerisce subito che la più urgente integrazione di cui abbiamo bisogno è quella tra suolo, paesaggio e la nostra intelligenza, ovvero la capacità di leggere il legame tra le cose. Il consumo di suolo, la negazione delle sue funzioni, lo svilimento della sua potenza sono tutte cose che avvengono prima di tutto nelle nostre teste e, immediatamente dopo, queste stesse mancanze diventano discorsi politici, azioni economiche, progetti irrispettosi, piani urbanistici. Se tutto ciò è debole o corrotto all'inizio, gli strumenti risulteranno altrettanto deboli e corrotti e quindi incapaci di rappresentare le sfide a cui siamo chiamati.
L'integrazione mancante più grave e preoccupante è quindi quella culturale. Su questo fronte occorre lavorare molto, avendo il coraggio di rivedere molte delle nostre convinzioni di urbanisti, politici, tecnici, funzionari pubblici, giornalisti, etc.

Il sottotitolo del volume è “Cercasi ‘terreno comune’: dialogo tra un sindaco e un urbanista”. Uno scambio spesso tutt’altro che facile…. Come si può perseguire un'integrazione virtuosa tra le competenze del mondo accademico e le necessità degli amministratori locali?

La collaborazione tra saperi esperti e politica si regge, tra le tante cose, sull'etica. E l'etica si rinnova con il tempo. Se non capiamo che cosa sia il suolo in termini valoriali (escludendo per ora l'onnipresente valore finanziario), è la relazione tra saperi e politica a indebolirsi, visto che per entrambi il suolo è 'poca cosa', è supporto amorfo, è piattaforma per costruire rendita, fondiaria e/o immobiliare.
Ancora una volta la cooperazione tra saperi e politica ha bisogno di formazione culturale e di disposizione a cambiare la direzione lungo cui allineare lo sguardo sulle cose. È la formazione il collante irrinunciabile. Accanto a questo ci serve quella che ai tempi di Giovanni Astengo, urbanista degli anni '60-'70, chiamavamo indifferenza dagli interessi di specie. Mi spiego. Se il mondo accademico continua a fare scienza e professione allo stesso tempo, non riesce a dire con fermezza di fermare il consumo di suolo perché l’impegno professionale è spesso legato a progetti urbanistici che implicano consumo di suolo. Se architetto e ingegnere vivono il vuoto con angoscia e il progetto di pieno come sola realizzazione di sé, continueranno a vedere lo spazio aperto come qualcosa da riempire e non su cui immaginare progetti 'di velluto' che abilitino la fruizione degli spazi aperti senza riempirli di cemento. Così la parte politica: se attinge la sua forza da soggetti privati che sono legati alla rendita fondiaria, è evidente che dirà con più debolezza che occorre fermare i consumi di suolo.
Occorre che entrambe le categorie si cerchino per medesima intenzione etica e con la stessa predisposizione a stare distanti da ciò che ha interesse diretto o indiretto a consumare suolo e/o a considerare il suolo (e l'ambiente in generale) come una merce e non un bene comune irriproducibile e già scarso da anni.

Accanto alle responsabilità di accademici e politici, non bisogna dimenticare i progettisti. Come si può agire efficacemente sulla loro formazione/sensibilizzazione, nel tentativo di orientare le trasformazioni del paesaggio in una direzione attenta alla problematica del consumo di suolo?

Servono corsi di formazione obbligatori per i professionisti, e corsi universitari per chi si sta formando. La pedologia è, per la maggioranza, una parolaccia o viene confusa con la più conosciuta podologia. Ma quel che serve è soprattutto una politica che diviene motore culturale di un'idea di suolo positiva, che non cede a compromessi perché è capace di proiettare il vero valore del suolo sull'opinione pubblica.
La politica non siede sui banchi della formazione da troppo tempo. Ha rinunciato ad aggiornare se stessa con saperi che giungono da fuori i propri recinti, peraltro sempre più ristretti e sempre più impermeabili a temi e discorsi che non siano quelli della vita di partito. L'ignoranza è un mezzo potentissimo che va sconfitto senza se e senza ma. Si infila silenziosamente nei nostri pensieri e nei nostri discorsi fino a divenire cultura dominante, per paradosso. Questo è mal comune, tanto per la classe dirigente quanto per l'opinione pubblica, quanto per la politica. Non ha più senso (ammesso ne abbia avuto) che chi scende in politica lo faccia senza sentire un minimo bisogno di formazione sulle questioni ambientali. Queste ultime hanno regole proprie che vanno conosciute e che non sempre sono dominabili dalle volontà politiche. Se il suolo ci mette 500 anni a riprodurre 2,5 cm di se stesso, non c'è legge che possa modificare tale dinamica. È l'uomo che deve ascoltare il ritmo della natura e non viceversa.

Dal punto di vista normativo, sempre nell'ottica della riduzione del consumo di suolo, sono sufficienti opportuni strumenti di pianificazione paesaggistica o servirebbe una legge nazionale ad hoc?

Serve una legge nazionale ad hoc. Il nostro Paese vive questo tempo di frammentazione amministrativa con l'illusione che ciò sia l'immagine perfetta del pluralismo e della democrazia quando invece, senza regole chiare e senza una cultura robusta alle spalle, tutto ciò diviene la tempesta perfetta della deregulation entro cui il più furbo e il più scaltro trovano il loro habitat migliore. Illudersi che ogni unità decisionale e politica del Paese prenda la decisione giusta è come pensare di invitare sul palco un'orchestra in cui ognuno esegue il pezzo secondo la propria idea di perfezione e senza essersi accordati prima su nulla né aver un testo di riferimento o un direttore da seguire (sempre senza mortificare lo spirito critico).
È fortemente inopportuno che ognuno emetta leggi, norme, regolamenti, piani con definizioni di suolo e di consumo di suolo differenti, né ha senso che 8000 comuni decidano in modo scoordinato. Anche se avessimo 8000 piani urbanistici comunali ben fatti e 20 piani regionali o 20 leggi contro il consumo di suolo ben fatte, ciò non garantirebbe auto-coordinamento e unità di visione e azione. Una legge nazionale potrebbe (ma non certo l'attuale proposta, purtroppo) invece stabilire una linea comune e riporterebbe il suolo nella posizione più appropriata della gerarchia valoriale, quella di bene comune e risorsa ambientale super partes.