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Comunicare il cibo, affrontando le prossime sfide

Quando il cibo fa notizia e quando la notizia parla di cibo: questo l’oggetto al centro del dibattito del Festival Internazionale del Giornalismo Alimentare, una manifestazione annuale che promuove il dibattito sulla qualità dell’informazione e della comunicazione intorno al cibo e all’alimentazione.

L’ultima edizione si è tenuta a Torino, dal 20 al 22 febbraio 2020, al Centro Congressi del Lingotto.
Tre giorni interamente dedicati a una delle tematiche di maggiore attualità, la comunicazione legata al cibo, affrontata attraverso incontri, workshop e un “gustoso” calendario di eventi “off”, showcooking e degustazioni guidate da parte dei vari sponsor, rivolti agli addetti ai lavori, ma aperti al grande pubblico.

Parlare di cibo è quanto mai attuale in questo momento di crisi. Proprio in questa contingenza, dove l’attenzione non è più rivolta a cose futili, ma alla sopravvivenza, il cibo è quanto mai al centro della nostra considerazione. E delle nostre paure più recondite. Lo dimostrano anche le corse e le lunghe code al supermercato nei momenti in cui appena si ventila una restrizione alla nostra libertà di movimento, e con essa cresce la paura di non avere alimenti a sufficienza.

Di che cosa si è discusso?

La produzione alimentare può contribuire al cambiamento climatico ma, allo stesso tempo, lo subisce. Il cibo connota e caratterizza un paesaggio, a volte diventando eccellenza e simbolo di un territorio, nonché ambasciatore della sua cultura. A proposito di paesaggi agrari, basti pensare che solo nella nostra regione il territorio rurale occupa oltre il 55% della superficie totale; ci sono 67.000 aziende agricole, con una produzione standard media di circa 57.000 euro, una dimensione media di 15 di ettari (contro una media italiana di 8 ettari ed europea di 13) e l’agricoltura costituisce il 4,53% del valore economico totale della produzione regionale.
Ma c’è anche il rovescio della medaglia: la produzione indiscriminata e non sostenibile del cibo può contaminare falde acquifere e fiumi, portare alla distruzione di intere foreste, essere causa di inquinamento e di perdita della biodiversità e, di conseguenza, minacciare la sopravvivenza stessa del pianeta.

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Non c’è quindi cibo di qualità senza agricoltura di qualità: ne abbiamo recentemente parlato qui.

Ma la qualità costa. Uno degli interventi del Festival, a cura della Direzione Agricoltura e cibo di Regione Piemonte, è stato incentrato sul Programma di Sviluppo Rurale (PSR) del Piemonte, che, per il periodo 2014-2020, offre un finanziamento imponente per il settore, pari a un miliardo di euro, a cui concorrono Unione europea, Governo italiano e Regione Piemonte.
Per l'Unione europea, lo sviluppo rurale deve contribuire al raggiungimento di tre macro-obiettivi: stimolare la competitività del settore agricolo; garantire la gestione sostenibile delle risorse naturali; realizzare uno sviluppo territoriale equilibrato delle economie e comunità rurali. Per maggiori informazioni, consultare il sito istituzionale dedicato al PSR.

Numerosissimi gli altri interventi che hanno animato il Festival, spaziando dai crimini alimentari e dalla possibilità di produrre cibo riutilizzando i terreni confiscati alle mafie locali, ai problemi di etichettatura per garantire chiarezza di informazione al consumatore, in modo che possa costruirsi consapevolmente una propria dieta bilanciata, e persino al cibo nello spazio: in Antartide è stata sperimentata la coltivazione in serra, finalizzata al trasporto magari sulla Luna, oppure su Marte!

Particolarmente interessante, a proposito della connotazione identitaria del cibo, anche l’intervento sulla dieta mediterranea, che nel 2010 è entrata a far parte del Patrimonio culturale immateriale dell’Umanità dell’UNESCO. Pur essendo sempre più diffusa nel mondo, la dieta mediterranea sta perdendo terreno in Italia, proprio nel Paese in cui ha avuto origine, dove rischiamo di perdere la cultura che essa rappresenta, travolti da ritmi frenetici e dalla graduale sottrazione di valore alle relazioni umane.
Produrre cibo diventa così importante che non ci si può permettere di sprecarne neppure un po': la sostenibilità si può mettere in atto anche con i piccoli comportamenti, come l'uso della “Food bag”, il contenitore in cui riporre il cibo ordinato al ristorante e non consumato, oggetto tanto semplice quanto utile. Se il suo impiego fosse generalizzato, la Food bag consentirebbe, infatti, di ridurre notevolmente gli sprechi alimentari nei consumi fuori casa.

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Nonostante sia trascorso più di un mese dal festival, alla luce della situazione che stiamo vivendo questi contenuti paiono persino più attuali.
Forse, come afferma nelle sue più recenti interviste Carlo Petrini di Slow Food, “questo virus ci obbligherà a migliorare il nostro mondo” nonché a dare più spazio alle comunità, tornando a produrre il cibo che mangiamo. Per rispondere efficacemente a questa emergenza nella produzione alimentare, secondo Petrini dobbiamo restituire rilevanza all’economia locale, senza tuttavia scadere in sovranismi fuori dal tempo e dalla logica. È possibile uscire dal tunnel coltivando i beni relazionali, accelerando un processo di trasformazione che vada nella direzione della lotta senza quartiere agli sprechi, nella ricerca di energie nuove e non impattanti a livello ambientale, nella limitazione dei consumi non necessari. Possiamo aiutarci, possiamo compattarci, possiamo de-monetizzare qualche aspetto della nostra vita per risparmiare un po’ di più e sostenere le attività di prossimità che sopravvivono a stento. Sono opportunità da percorrere non perché ce lo imponga il coronavirus, ma perché è la logica che ci spinge a cercare un futuro diverso e sostenibile per tutti. Dobbiamo però partire da ciascuno di noi, dai nostri comportamenti individuali (da La Repubblica 8 marzo 2020, https://www.slowfood.it/sars-cov-2-questo-e-il-tempo-della-solidarieta-e-non-piu-della-competizione/).

 

Per una sintesi dei contenuti del Festival, si rimanda al sito ufficiale.

 

Testo e foto di Loredana Matonti