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Salvatore Settis, Architettura e democrazia.

L’ultimo saggio di Salvatore Settis richiama l’attenzione sul rapporto fra paesaggio e patrimonio culturale, riconoscendoli come elementi fondamentali della democrazia, dell’uguaglianza e della libertà dei cittadini; la Costituzione della Repubblica italiana aveva già attribuito un ruolo di primo piano al paesaggio e al patrimonio storico-artistico e archeologico nazionale, tanto da poter essere essi stessi annoverati fra i diritti, ma anche fra i “privilegi della cittadinanza”.

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La pubblicazione nasce da una raccolta delle lezioni tenute dall’autore all’Accademia di architettura dell’Università della Svizzera italiana, quale titolare della cattedra intitolata a Francesco Borromini.
Salvatore Settis, parlando a coloro che si preparano a svolgere la professione di progettisti, rievoca il pensiero borrominiano e il ruolo dell’architetto già espresso dall’artista barocco nell’Opus architectonicum, sottolineando la necessità che a guidare l’opera degli architetti siano l’etica e la deontologia.
L’architettura, in quanto professione con un forte impatto sull’ambiente e sul paesaggio, ma anche sulla qualità della vita quotidiana e sulle dinamiche della società, deve per questo motivo avere un forte richiamo alla qualità stessa del vivere civile. Il riferimento alle regole della convivenza riprende la visione aristotelica dell’uomo quale “animale politico” che vive nella polis, intesa come comunità dei cittadini, richiamando così il senso originario della parola greca politica, che esprime un interesse eticamente volto alla polis.
Una professione, quella dell’architetto, sunto di techne ed ethos, di sapere tecnico e di coscienza morale, con un necessario orientamento alla pratica virtuosa diretta al bene comune e all’interesse collettivo; l’esercizio professionale deve, pertanto, tener presente innanzi tutto un quadro vasto, che è quello della dimensione sociale e comunitaria della cittadinanza, anche quando questo comporta il mancato ascolto delle esigenze del committente.
Paesaggio e patrimonio, quindi, intesi come teatro della democrazia e architettura capace di “integrarsi nel paesaggio rideterminandolo (come è ovvio), ma non devastandolo”.
La valutazione, tuttavia, non è diretta unicamente agli addetti ai lavori, ma all’intera comunità dei cittadini e, dunque, anche alla politica: le devastazioni di ambiente, paesaggio e patrimonio rendono oggi necessaria una prospettiva che tuteli, con una sorta di “patto generazionale”, il diritto alla fruizione del patrimonio per le generazioni presenti e per quelle future.

 


Il saggio contiene anche un’interessante riflessione sulla città contemporanea e sui conflitti che sempre più vedono configurarsi all’interno delle realtà urbane due differenti mondi, rappresentabili con le favelas e le gated communities: due diverse realtà che, sebbene talvolta confinanti, sono espressione di un crescente divario socio-economico fra gli abitanti della città stessa e non sembrano potersi ritenere il passaggio verso un’equa distribuzione della felicità e della ricchezza secondo un’ottimistica visione neoliberista.
Riprendendo, infine, il pensiero di Lina Bo Bardi, l’Architettura, quella con la A maiuscola, non è semplice esercizio tecnico o pratica estetica, bensì dovere civico con forti responsabilità etiche e morali e, quindi, come espresso da Salvatore Settis, per essere davvero democratica l’architettura deve essere legata a una concezione democratica del paesaggio e del bene comune.

 

Loredana Titone